Una catena ci salverà
In questi giorni di bollettini di guerra fatti di violenze sessuali e femminicidi, il mio pensiero più frequente è che una ribellione vera, una risposta forte delle donne unite che faccia smettere la mattanza non possa prescindere di un lavoro che ognuna dovrebbe fare su di sè. Per cambiare prima, e per dare esempio e aiuto alle altre poi.
Un lavoro legato alla cosiddetta autostima, intesa come capacità di scelta, e di sottrarsi, una scelta di egoismo: parola bellissima e salvavita che ci hanno convinte essere un difetto – quasi esclusivamente femminile, guarda caso. Noi donne siamo il 52% dell’umanità e del potere di voto, nonché le uniche in grado di generare e praticamente le sole a cui è affidata la cura della salute, della casa e dell’educazione. Da questi dati si direbbe che ci siano le condizioni quanto meno per aprire una trattativa seria con ‘l’altra metà del cielo’, metà a cui appartengono gli uomini che ci stuprano e massacrano di botte e uccidono, ma anche quelli che li difendono e prosciolgono, nonché quelli che, con galanteria – che carini – ci hanno convinte che siamo il ‘sesso debole’. Ci sono riusciti così bene che, invece di usare il nostro ‘potere d’acquisto’ e di negoziare, chiediamo loro un cambiamento convinte che dialogando capiranno, e proprio da loro ci aspettiamo aiuto e risoluzioni.
C’è qualcosa di illogico, non possiamo chiedere agli uomini quello che sta alle donne fare.
Dobbiamo costruire tutte insieme una catena di donne piene di coraggio e solidarietà, che creino e si diano forza a vicenda. Coraggio di sè soprattutto, coraggio dell’egoismo che salva la vita, coraggio di difendere il proprio sentire e le proprie scelte, coraggio di mettersi sotto al sole senza pelle, di essere antipatiche e scomode e sgradevoli a molti, perché l’alternativa è essere come vogliono gli altri. Ovvero sottomesse e vittime, in un grigio indistinto che ci isola e ci rende tutte sole e più fragili.

Anais Nin Arte-fatto di Chiara Corio/ www.mybesthalf.it
Partendo da me, che è la regola d’oro dell’autocoscienza e che sull’essere scomoda ho dovuto riflettere parecchio: sono lesbica, vegetariana quasi vegana, femminista e ostile all’alcool. È chiaro che non posso ambire a essere la più amata dagli italiani, anche perché molto simpatica non sono stata mai, e negli ultimi anni mi sono pure concessa di dare spazio a una naturale rigidità, che mi ha resa adattabile come una spranga di ferro.
Per molto tempo mi sono sentita in difetto per questo e ho cercato di contrastarmi: ho sempre ammirato le ragazze ‘carine’, quelle che si sa già che non faranno storie, quelle a cui tutti vogliono bene perché sono sempre sorridenti e non piantano grane mai. Per un po’ ho provato con un certo impegno a essere così, ma non ha funzionato e comunque ho scoperto che il prezzo da pagare era altissimo.
Certo, meno carattere si dimostra e più si diventa l’invitata/fidanzata/compagnia perfetta, benvoluta da tutti e con la sensazione di essere la più amata del mondo, avvolta in una nuvola di affetto e confetti rosa.
Però.
Però piano piano non sei più tu, diventi debole e insicura, senza la tua nuvola di affetto e confetti ti senti invisibile. E il carico di ‘piccoli sacrifici’ che devi fare per mantenerla aumenta progressivamente, fino a diventare insopportabile o fino a cancellare ogni traccia di te per essere sostenibile.
Restare lì è pesante, ma tornare al proprio centro è difficile, ed è un percorso in solitaria. Nella fase di ricostruzione si diventa insofferenti, assenti, antipatiche, quelle a cui non si può più dire niente e su cui improvvisamente non si puó più contare, sicchè raramente gli altri la prendono bene. Fine del giochino con la bambola.
Ma giuro che ne vale la pena. Perché ogni sforzo, così come quelli che si fanno in palestra, ti rende più forte. Perché senti piano piano che le tue gambe ti reggono anche se sei da sola, perché se superi la paura dell’abbandono arriva improvvisa l’euforia che dà le vertigini perché provi una libertà che sai essere tutta tua, perché quel vuoto fa sentire leggere (e belle) come farfalle, perchè per ogni persona richiedente che se ne va, ce n’è una liberata e autonoma che arriva e che prima non si avvicinava perché vedeva bene quel groviglio che hai sciolto. Perché i sacrifici non fanno mai bene a nessuno, e chiederci di farli per gli altri è solo una scusa per costringerci a piegarci contro noi stesse facendo leva sul senso di colpa.
Mi piace pensare a un mondo di donne ‘egoiste’ capaci di dire di no, senza paura, con pochi bisogni fondamentali da condividere e di cui non vergognarsi. Capaci e disponibili a darsi una mano, perché leggere e non prosciugate – ognuna a suo modo – da un sistema di obblighi, privazioni e ‘piccoli sacrifici’.
Non è semplice, io cerco di ricordarmelo ogni volta che dico un no sapendo che se dicessi sì, a qualcuno risulterei più simpatica o più leggera, altra qualità di cui difetto parecchio. Ma credo nelle donne, e nel futuro che dobbiamo prenderci in mano, quindi provo a credere in me, nel tentativo di creare circoli virtuosi di donne che con me condividano praticare obiettivo.
Ah, bonus extra: imparare a dire di no rende sgradevoli anche a molestatori, persone manipolatorie, persone richiedenti, persone dipendenti, persone ricattatorie, rimproveranti, approfittatrici e poco oneste.